Political defrag

L’accelerazione della crisi dei debiti sovrani che sta investendo l’Europa e il mondo e che trova nella Grecia il cerino e nell’Italia la miccia che potrebbero innescare una pericolosa deflagrazione finanziaria e monetaria è il sintomo di un grave vuoto politico di potere.
Esso appare essere sempre più un fattore strutturale di instabilità del pianeta, cui non riescono a dare risposte nemmeno le organizzazioni interstatali e i grandi blocchi geo-politici. È la seconda faccia della medaglia della globalizzazione economica, che fa rima con essa, determinando la frammentazione politica.
È un fenomeno in atto in realtà da decenni, che prima ha attraversato i paesi ex coloniali di Asia e Africa e quindi i paesi dell’ex impero sovietico andato in frantumi nel 1991.
Oggi il fenomeno carsico dell’insostenibilità politica dei grandi stati disomogenei, inefficienti, irresponsabili e incapaci di prendere decisioni sta attraversando in pieno proprio il mondo occidentale, l’Europa in primis, ma subito dietro l’angolo gli stessi Stati Uniti d’America. Ciò che manca rispetto a 20 anni fa è la consapevolezza delle élites di pensiero che vivono una pericolosa cesura e asincronia con l’evoluzione del mondo.
Non è un caso infatti che gli stimoli all’azione vengano proprio dal mondo economico che pare aver fatto molta più strada, o quanto meno diversa rispetto al mondo politico.
Samuelson in un suo fondo molto ispirato pubblicato sul Washington Post di oggi e tradotto in veneto da Lodovico Pizzati ha illustrato i rischi che derivano da una naturale risposta basata su un pericoloso mix di protezionismo e nazionalismo, sullo sfondo di guerre valutarie.
In realtà io ritengo che tali risposte anche se possibili siano assolutamente di breve respiro, poiché gli impatti e la pervasività della globalizzazione 1.0 sono tali da aver determinato una trasformazione plastica anche delle strutture geo-politiche (globalizzazione 2.0). Credo fermamente che in realtà il fenomeno naturale, anche se per molti contro-intuitivo, verso il quale andremo, con un’accelerazione ancor maggiore rispetto al passato, sia proprio un panorama di deframmentazione politica ancora più spinto, con l’emergere di reti di stati ancora in fase di costruzione. Tali reti non possono essere certamente l’Unione Europea per come la conosciamo oggi, oppure gli stessi Stati Uniti, che in sé riportano alcuni difetti strutturali che li rendono inadeguati al sostenimento di un nuovo naturale equilibrio.
La crescente forza e autorevolezza di organizzazioni interstatuali come il G20 in ambito politico, o tematici che determinano trattati internazionali quali il protocollo di Kyoto o il trattato di Schengen rivelano in realtà la linfa vera del concetto di cooperazione illustrato da Samuelson. A me piace definirlo come tessuto connettivo, o reticolo decisionale, poiché in sé porta anche un concetto di coopetizione che deve e può bilanciare gli effetti nefasti di una pura cooperazione e l’asservimento che ne potrebbe derivare.
I principali attori che oggi calcano le scene del palcoscenico, Usa, Europa, Bric (Brasile-Russia-India-Cina), lasceranno sempre più spazio a tali reti decisionali che consentiranno loro di allentare le crescenti tensioni politico-sociali interne. Molti degli attuali stati probabilmente andranno incontro a una decomposizione verso realtà statuali più omogenee e in grado di svolgere la funzione di nodi intermedi tra la rete decisionale globale in via di formazione, che andrà a delineare il quadro normativo globale e di relazioni internazionali e i cittadini, che in tal modo potranno riconoscersi con molta più gratificazione e responsabilizzazione in un mutato assetto geo-politico che li rispetti e li renda i veri re del mondo.
Per quanto ci riguarda, l’indipendenza della Venetia è lo scenario naturale che emergerà in un tempo più breve di quanto possiamo immaginare, nel quadro descritto, i cui segni si vedono emergere con sempre maggiore forza e velocità.

Gianluca Busato

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